Call for papers per il Symposium “La Riforma Gentile, un secolo dopo” - Vol. XII, n. 2, 2023 Editor: prof. Massimo Baldacci Nominato ministro dell’Istruzione nel primo governo Mussolini, il 31 ottobre del 1922, Giovanni Gentile realizzò la propria riforma della scuola nel giro di circa un anno. I quattro Decreti fondamentali in cui si articolava la riforma (concernenti l’amministrazione, la scuola media, l’università e l’istruzione elementare e popolare) furono emanati in successione fino all’ottobre del 1923. Tale emanazione avvenne attraverso la delega di pieni poteri, e quindi senza discussione in Parlamento. Nell’estate del 1924, Gentile lasciò poi la carica di ministro. Aveva ridisegnato la scuola italiana nel suo complesso, in senso sia strutturale, sia culturale, sia pedagogico. Dal punto di vista strutturale, la riforma si reggeva su una doppia separazione: tra la scuola elementare e la scuola media, attraverso severi esami d’ammissione; e tra i diversi tipi di scuola secondaria, considerati di ineguale valore, con al vertice il percorso ginnasio-liceo classico. Dal punto di vista culturale, la riforma eleggeva la cultura umanistica, e in particolare la filosofia, come principio educativo. Di conseguenza, nella scuola elementare, nella quale la filosofia non può ancora entrare, il ruolo di principio educativo era affidato alla religione. Infine, dal punto di vista pedagogico-didattico, la riforma tendeva a saldarsi col pensiero gentiliano: la didattica si risolve nella pedagogia, e questa si identifica con la filosofia dello spirito. Così, la perizia didattica è identificata con la padronanza della materia da insegnare. A tutt’oggi, si tratta dell’unica riforma organica del sistema scolastico-formativo che abbia trovato compimento nel nostro Paese. Una riforma innervata da un’idea di scuola precisa e coerente (per quanto discutibile), e che – nel bene e nel male – ha segnato la storia di questa istituzione. Da allora è trascorso un secolo. Una temporalità propizia per riesaminare le cose sine ira et studio (ricordando però che l’imparzialità non implica la neutralità). Gli interrogativi da cui prendere le mosse per un tale riesame sono molteplici, e qui ne indicheremo solo alcuni. Occorre innanzitutto chiedersi quali furono gli antecedenti politico-culturali della riforma. Qual è il rapporto con i fermenti del periodo giolittiano, e con i problemi lasciati aperti dal tipo di unificazione nazionale compiutasi per l’Italia? In quale misura il senso della riforma può essere visto entro la battaglia culturale tra Positivismo e Neoidealismo? Lo si deve considerare espressione di un più profondo conflitto politico-culturale tra il liberalismo in crisi d’egemonia e le forze sociali popolari in progressiva crescita? E in questo caso, quanto può avere giocato la prospettiva di un’alleanza tra forze borghesi e cattolicesimo? Poi si devono valutare i significati socio-pedagogici della riforma. In genere, la riforma è stata giudicata come una restaurazione conservatrice, come un’espressione di autoritarismo e di elitarismo; è stata vista come funzionale all’egemonia borghese, come discriminante in senso classista; come volta prioritariamente alla formazione della classe dirigente rispetto all’istruzione popolare. Quali di questi giudizi possono essere confermati, e quali sono eventualmente da rettificare, e in quale senso? Insieme a questo, occorre considerare i rapporti della riforma col fascismo. Il fascismo si limitò ad adottare opportunisticamente il programma dei neoidealisti sulla scuola per avvantaggiarsi del prestigio di Gentile e guadagnare consenso presso i ceti intellettuali? Oppure sussistevano alcune convergenze oggettive tra il programma gentiliano e quello fascista? E in questo caso quali erano queste convergenze, e da quali eventuali divergenze erano accompagnate? Infine, è necessario interrogarsi sugli effetti della riforma, e in particolare sugli effetti di lungo termine. Vi sono state influenze durature di quella stagione sugli abiti mentali degli italiani? Ed eventualmente quali sono state? Indicazioni per gli autori Gli interessati dovranno inviare la loro proposta via e-mail al Comitato di Redazione (civitas.educationis@unisob.na.it), allegando un file in formato Word ove siano riportati:
Si accettano contributi in italiano, inglese, francese, spagnolo. La scadenza per la presentazione delle proposte è fissata per il 30 maggio 2023. L’editor del Symposium effettuerà una prima valutazione delle proposte, tenendo conto degli obiettivi della Call, entro il 20 giugno 2023. Gli autori delle proposte selezionate dovranno inviare il loro contributo completo di max. 7500 parole redatto nel rispetto delle norme redazionali e tenendo conto del template consultabili al seguente link: https://universitypress.unisob.na.it/ojs/index.php/civitaseducationis/pages/view/proposte, entro il 31 luglio 2023 utilizzando la procedura telematica descritta al seguente link: https://universitypress.unisob.na.it/ojs/index.php/civitaseducationis/user/register In fase di sottomissione sarà necessario specificare che il contributo è presentato per il Symposium del n. 2/2023. Gli autori riceveranno successivamente comunicazione degli esiti della procedura di referaggio a doppio cieco e l’indicazione dei tempi entro i quali dovranno essere consegnate eventuali modifiche. Gli articoli che non rispettano le norme redazionali della Rivista non saranno sottoposti a referaggio. Gli articoli che supereranno la procedura di referaggio a doppio cieco saranno pubblicati nel n. 2/2023, in uscita a fine anno.
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