Sulla soglia delle città. Sconfinamenti formativi tra visibilità e invisibilità urbana della comunità LGBTQ+
Abstract
Abstract
Starting from locating the relationship between the LGBTQ+ community and the urban fabric within a large educational process, this essay analyzes some phenomena that make explicit such a location, in the form of resistance actions or tangible demonstrations. This paper intends to re-evaluate that educational value of the urban threshold that has always characterized the LGBTQ+ community’s life; a community paradoxically constructed and perceived as invisible and hyper-visible at the same time. Such re-evaluation can be realised through an interpretative paradigm of the stages that link the visibility/invisibility of differences as a complex, stratified and relational continuum (rather than as a pair of opposites). Reaffirming and explaining the pedagogical role of a community, which is historically asked to promote inclusion, also involves re-discussing the visions of that community’s subaltern integration, based on homologation and formal political correctness, in order to invest in projects that imagine physical and symbolic spaces, and places of life as tangible manifestations of respect for the fundamental rights of all, everyone and each one.
Riassunto
A partire dal posizionamento della relazione tra la comunità LGBTQ+ e il tessuto urbano all’interno di un grande processo formativo, il contributo analizza alcuni fenomeni che, in forma di azioni di resistenza o manifestazioni tangibili, lo esplicitano. Mediante il ricorso a un paradigma interpretativo dell’insieme dei passaggi che legano la visibilità/invisibilità delle differenze come un continuum complesso, stratificato e relazionale (piuttosto che come un binomio di opposti), il presente lavoro intende rivalutare il valore formativo della specifica soglia urbana che, da sempre, caratterizza la vita della comunità LGBTQ+, paradossalmente costruita e percepita come invisibile e iper-visibile allo stesso tempo. Ribadire ed esplicitare il ruolo pedagogico di una comunità che è, storicamente, chiamata a farsi promotrice di inclusione, comporta anche ridiscutere le visioni di una sua integrazione subalterna, improntata sull’omologazione e sul politically correct formale, per investire in progettualità che immaginino spazi fisici, simbolici e luoghi di vita come concretizzazioni del rispetto dei diritti fondamentali di tutte, tutti e ciascun*(ɜ).
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