Cristina Mingo Assistente della cattedra di Diritto civile Università degli Studi Suor Orsola Benincasa 1. Introduzione.
L’introduzione di nuovi strumenti probatori di natura tecnico-scientifica all’interno del processo ha portato alla necessità, da parte del giudice e delle parti, di affidarsi ad “esperti” che integrino il loro patrimonio di conoscenze, impiegando, in particolare, tecniche e strumenti non contenuti nel “sapere comune”. Ciò che accade nella formulazione della valutazione finale da parte del giudice è stata di fatto considerata, in passato, una situazione quasi “paradossale”: in particolare, il “paradosso della prova scientifica” nasce dal fatto che il giudice, debba necessariamente domandare un parere ad un esperto, ma successivamente, quando si tratta di valutare il parere da lui fornitogli, ritorni inspiegabilmente ad essere competente, anzi più competente di colui al quale ha appena chiesto aiuto ammettendo la propria ignoranza. In altre parole, si presuppone che il giudice possa fare ex post (nella valutazione dell’esito della perizia o della consulenza tecnica, al fine di stabilire se ne varrà la pena servirsene ai fini della decisione dei fatti) una valutazione su cognizioni tecniche e scientifiche che egli non possedeva ex ante. Il paradosso della prova scientifica deriva dalla qualificazione del giudice in quanto iudex peritus peritorum, ovvero “perito dei periti”. Il giudice, di fatto, si avvale normalmente di perizia e consulenza tecnica, ma non è affatto vincolato al loro risultato, potendo discostarsi o disattendere del tutto le conclusioni a cui sono giunti gli esperti. È quindi consentito al giudice valutare la complessa attendibilità delle conclusioni peritali e, se del caso, disattenderne le sottese argomentazioni tecniche laddove queste risultino intimamente contraddittorie. Il rapporto tra il peritus peritorum e l’esperto si fonda però su un onere motivazionale del giudice per discostarsi dagli esiti dell’ausilio tecnico dallo stesso disposto: se è vero infatti che le valutazioni espresse dal perito o dal consulente tecnico non hanno efficacia vincolante per il giudice, è anche vero che quest’ultimo può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere dell’esperto. In altre parole, il giudice non deve “rifare” la perizia, con esperimenti, analisi, e quant’altro possa concorrere, in quanto il suo compito è limitato alla verifica circa la correttezza dei criteri di giudizio utilizzati dall’esperto nella soluzione della questione: non quindi un controllo nel merito, che risulterebbe davvero problematico per un soggetto non tecnico, e sarebbe quindi “paradossale”, ma una semplice verifica sulla correttezza del metodo, che può essere condotta alla luce di canoni valutativi generali e comprensibili anche al giurista. Appare quindi chiaro come sia oggi necessario allontanarsi dall’originaria qualificazione del giudice quale peritus peritorum, affermazione enfatica che lo connotava di una presuntuosa capacità di onniscienza, per attribuire al giudice un ruolo diverso: parliamo infatti di un giudice informato sui presupposti di validità del metodo o prova scientifici utilizzati nel processo, di un giudice pronto ad esaminare contrapposte visioni scientifiche e scegliere quella più convincente “non in base ad un’opzione pregiudiziale e immotivata, ma dopo aver dato il più ampio spazio al contraddittorio, a quella fondata su una dimostrata competenza scientifica e su argomentazioni che non abbiano trovato obiezioni insuperabili tenendo anche conto, e non marginalmente, delle eventuali evidenze probatorie atte a confermare o smentire il giudizio dell’esperto”[1]. Ma se oltre ad una valutazione effettuata dal giudice human being, pensassimo anche ad una valutazione svolta dalla mens robotica?
2. La prova scientifica.
La prova scientifica nell'ultimo periodo ha assunto sempre maggiore rilevanza ed è stata oggetto di approfondimento da parte di molta dottrina. Il problema principale che gli studiosi del diritto hanno affrontato è quale sia il senso migliore per intendere la scientificità della prova. In primo luogo bisogna avere presente che quando si parla di prova scientifica ci si riferisce a fenomeni molto spesso differenti[2] per alcuni dei quali tale aggettivo viene utilizzato in modo improprio: ad esempio si impiega tale concetto per indicare il ricorso del giudice nel momento della valutazione dei fatti all'ausilio di contributi desunti dal campo delle scienze ( ricorso che rafforza solamente il suo convincimento); si parla di prova scientifica per indicare procedimenti tecnico-scientifici che vengono impiegati per l’accertamento dei fatti. La dottrina maggioritaria afferma che la scientificità della prova sia quando quest’ultima era raggiunta mediante il metodo scientifico e in particolare mediante quel procedimento probatorio che dà la conoscenza del fatto notorio risale alla conoscenza del fatto ignoto attraverso l’applicazione di una regola di esperienza ricavata con il metodo scientifico anziché mediante l’esperienza dell’uomo medio punto da ciò è facile estrapolare la vera caratteristica della prova scientifica cioè quella di «escludere l’impiego delle massime di esperienza e di far sì che l’accertamento del fatto sia determinato in modo pressochè automatico attraverso il mezzo tecnico»[3]. Expressis verbis la prova scientifica assume indubbia superiorità rispetto alla prova storica se non altro perché l’esclusione dell’impiego delle massime di esperienza riduce di molto la fallibilità del giudizio umano. Tuttavia, la prova scientifica ha un limite e ed è individuabile allorché il giudice ne utilizza il risultato anche se e privo di strumenti di controllo sia per quanto concerne la correttezza del procedimento usato sia per quanto riguarda la valutazione degli esiti peritali.
3. Il c.d. paradosso della prova scientifica: il controverso significato dello “iudex peritus peritorum”.
La necessità da parte del giudice di affidarsi ad esperti che integrino il suo Patrimonio di conoscenze utilizzando se del caso tecniche e strumenti non rientranti nel sapere comune nasce dalla introduzione di nuovi strumenti probatori di natura tecnico scientifica all’interno del processo. Nella formulazione della valutazione finale da parte del giudice è presente tuttavia una situazione quasi paradossale: questo paradosso della prova scientifica nasce dal fatto che il giudice proprio in virtù della sua impreparazione a risolvere un certo problema si rivolge ad un esperto il quale dovrà poi produrre un proprio parere ma successivamente nella fase di valutazione del parere da lui fornitogli inspiegabilmente il giudice risulta essere di nuovo competente ed anzi più competente del consulente a cui si è rivolto in virtù della propria mancanza di sapere tecnico[4]. Expressis verbis il paradosso consiste nella necessità da parte del giudice di un controllo ex post della risultanza peritale su una materia che egli non conosce ossia una valutazione in ambito tecnico scientifico che si basa su conoscenze che egli ex ante non possedeva[5]. È proprio nella formula iudex peritus peritorum che affonda le radici il paradosso della prova scientifica; il giudice si avvale della consulenza tecnica ma non è vincolato al loro risultato potendosene discostare o disattendere del tutto le conclusioni a cui sono giunti i periti. Da ciò deriva che il giudice può valutare la complessa attendibilità delle conclusioni peritali e se lo ritiene necessario bisogna attenderne le argomentazioni tecniche laddove queste risultino contraddittorie[6]. Per potersi discostare dagli esiti dell'ausilio tecnico il giudice deve comunque attuare una valutazione tecnica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruenti e logicamente motivata poiché egli deve indicare gli elementi di cui si avvalso per ritenere errati gli argomenti sui quali il consulente si è basato o gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere dell'esperto. Il rapporto tra il giudice e il perito si fonda su un onere motivazionale del peritus peritorum, il quale non deve rifare la perizia con esperimenti ed analisi, che restano di pertinenza del consulente, ma deve verificare la correttezza dei criteri di giudizio che sono stati utilizzati dall'esperto nella soluzione della questione: non un controllo sul merito, che risulterebbe alquanto problematico e paradossale per un soggetto privo di conoscenza tecnica, ma una semplice verifica del metodo, condotta sulla base di canoni valutativi generali che ben possono essere compresi dal giurista. Per poter uscire da tale tipo di empasse occorre allontanarsi dall'originale qualificazione del giudice peritus peritorum, affermazione enfatica che lo connotava di una presuntuosa capacità di onniscienza, per attribuire, invece, al giudice un ruolo totalmente diverso, un ruolo di custode, di garante della scientificità e della conoscenza attuale espressa nel processo, pronto ad esaminare contrapposte visioni scientifiche e scegliere quella più convincente[7]. Il giudice, quindi, non assume un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere scientifico, ma, conscio delle sue limitazioni in campo tecnico, deve operare come garante della scientificità della conoscenza attuale espressa nel processo confrontandosi con gli esperti condotti davanti a lui. In questo modo, come messo in luce dalla dottrina, si è garbatamente sferrato un duro colpo al concetto dello iudex peritus peritorum di tradizione napoleonica e post napoleonica, sulla base del quale egli aveva una supremazia autoritativa e si imponeva sulle valutazioni del perito e dei consulenti[8]. Al giorno d'oggi, si parla non di un giudice peritus peritorum, ma di un giudice che, pur mantenendo il proprio ruolo di interprete dell'uomo medio, debba attrezzarsi culturalmente affiancando alla cultura giuridica che gli è propria una cultura scientifica, sia pur non specialistica, ma di tipo medio- alto. In altre parole, il giudice non deve essere uno scienziato, ma un “custode del metodo scientifico”[9], attento nel verificare leggi e conoscenze scientifiche[10], tutto ciò sulla base dei criteri elaborati per la prima volta dalla giurisprudenza americana[11]. La giurisprudenza della Suprema corte[12], a tal riguardo ha previsto che il giudice, per scegliere a quale parere esperto dare la preferenza nel caso di pareri divergenti, deve tener conto «soprattutto del grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica: il giudice deve svolgere il ruolo di “custode del metodo scientifico” per evitare di aderire all’una o all’altra opinione sulla base di argomentazioni fallaci o non del tutto comprensibili». Quindi, il «consenso della comunità scientifica in ordine ad un determinato accertamento tecnico ben si accosta alla regola della colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”». Gli ermellini, sostenuti dalla stessa Corte territoriale, hanno affermato che «se la maggioranza degli studiosi è contraria a ritenere attendibile una certa prova, se ne dovrà fare a meno, poiché troppo alto è il rischio di incorrere in errori forieri di conseguenze drammatiche per i soggetti coinvolti. Ma anche il caso opposto non conduce a risultati automatici: se, talvolta, il consenso è talmente unanime da permettere di affermare in positivo una certezza, in altri casi il risultato è di mera “compatibilità”» . Il giudice-consumatore di scienza, secondo altra giurisprudenza, riceve e consuma «quella che risulta accolta dalla comunità scientifica come la legge esplicativa (…) e non ha autorità per dare patenti di fondatezza a questa piuttosto che a quella teoria».[13] Infine, è possibile concludere che riconoscere il giudice come “custode del metodo scientifico” è un ruolo in perfetta sintonia con la rilettura post-moderna della nozione del giudice “peritus peritorum, nozione questa «ormai obsoleta e di assai dubbia credibilità. In effetti, l’antico brocardo esprime un modello culturale non più attuale e, anzi, decisamente anacronistico».[14]
4. La prova neuroscientifica.
Nell'ambito della prova scientifica ha suscitato negli ultimi anni molto interesse l'applicazione delle neuroscienze al diritto. In particolare le neuroscienze giuridiche si occupano di studiare in che modo variazioni anatomiche e fisiologiche all'interno del cervello possano influenzare il comportamento di soggetti implicati in procedimenti giuridici, con riferimento alla indagine sulla capacità di intendere e di volere dei soggetti ( nel caso di specie di soggetti implicati il procedimento che concernono la valutazione delle capacità genitoriali). Le neuroscienze hanno raggiunto risultati concreti con il ricorso a tecniche di neuroimaging[15] le quali hanno permesso di individuare patologie mentali associate ad anomalie comportamentali. Ricorrere a tali tecniche permette di osservare in modo diretto l'attività cerebrale ad una stimolazione emotiva.
Figura 1: schematizzazione dei processi biologici che la risonanza magnetica funzionale (fMRI) rileva.
Tuttavia, questa analisi basata sul versante della personalità piuttosto che su quello dei compiti e delle funzioni genitoriali di base, ha fatto sorgere alcune domande: in particolare ci si è chiesti se le neuroscienze possono occuparsi delle capacità genitoriali. Risposte positive si sono avute analizzando l'importanza di indagare la neuroanatomia della funzione genitoriale, anche con il ricorso a tecniche di neuroimaging, dal momento che la conoscenza delle specifiche strutture cerebrali che determinano lo sviluppo del comportamento genitoriale, nonché il loro svolgimento, potrebbe permettere di comprendere meglio e più precocemente eventuali situazioni di genitorialità a rischio. Dunque tali studi all’avanguardia, che hanno sondato il cervello dei genitori con una serie di stimoli audio e video (ad esempio il pianto di un bambino), possono ampliare la comprensione del cervello dei genitori e tali sviluppi possono avere profonde implicazioni per le famiglie in termini di rischio e possibili interventi.
5. La mens humana e la valutazione della prova scientifica.
Dopo aver assunto la prova scientifica il giudice dovrà valutare quelli che sono gli esiti della valutazione probatoria. In primo luogo, egli dovrà verificare l'affidabilità dello strumento scientifico utilizzato tenendo conto della validità teorica del principio scientifico utilizzato, del corretto uso pratico dello strumento, della completezza dei dati fattuali esaminati e della possibilità di comprendere la prova assunta. A tal fine egli dovrà ricorrere ai criteri di Daubert. La prova scientifica ovviamente rende molto difficile il compito del giudice che è chiamato a verificarne la sua correttezza e, perciò, soprattutto nel caso della prova neuroscientifica, il giudice non avendo una cultura di merito tale da permettergli di spaziare in ambito scientifico avrà due possibilità o non tener conto di tale prova ai fini della decisione oppure predisporre un ulteriore perizia con la nomina di un nuovo perito che dovrà valutare l'operato degli esperti opzione quest'ultima sconsigliabile perché l'attività di valutazione del giudice viene delegata ad un esperto. Anche se tale escamotage è utile per evitare di giungere ad una ingiusta lesione del diritto alla prova in quanto il giudice dovrebbe escludere a priori le prove dalla sua valutazione finale, atteggiamento questo senz'altro lesivo dell'articolo 111 della Costituzione.
6. L’appporto della mens robotica nella valutazione della prova scientifica.
Con riguardo alla valutazione della produzione peritale (in particolare della produzione peritale concernente l’ambito scientifico/neuroscientifico), potrebbe avere un ruolo piuttosto predominante il ricorso a strumenti di Artificial Intelligence. Se è certo che allo stato attuale non possono circoscriversi i suddetti strumenti per la valutazione della prova peritale partendo dal curriculum del consulente, tuttavia la AI produrrebbe senza ombra di dubbio benefici che l’essere umano, nonostante la sua preparazione, avrebbe difficoltà a raggiungere, dando per giusto il risultato errato. Sin dal 1923 e dal caso giudiziario “Frye vs. United States”[16], la prova scientifica ha assunto un ruolo centrale e tale è anche l’importanza che il giudice “human being” riserva ad essa. Fu con la sentenza “Daubert vs. Merrel Dow Pharmaceuticals” che si affermò la centralità della prova scientifica e vennero alla luce anche diversi criteri per la valutazione, noti ora come Criteri di Daubert[17]. Nel caso di specie si chiedeva la necessità di acquisire la consulenza di esperti in possesso di evidenze scientifiche inedite e contrari a quelle esposte dalla difesa ed in questa occasione nonostante la difesa stessa eccepiva l'inammissibilità di tali prove scientifiche, ricorrendo allo standard di Frye, si stabilì la possibilità di produrre tali prove. Solo nel 2011 con la la Rule 702 delle Federal Rules of Evidence[18] si ha una positivizzazione degli standard di Daubert ed una loro conseguente riduzione. Dopo questa analisi è ovvio domandarsi se sistemi di intelligenza artificiale siano in grado, con l'inserimento degli standard nella funzione algoritmica, di conferire maggiore scientificità al dato probatorio. Degno di nota è il limite che l'utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale incontrerebbe consistente nel fatto che la valutazione del consulente e applicabili esclusivamente al caso concreto ed in assenza il giudice non potrebbe avvalersene in modo puntuale[19]. Dunque, la macchina sapiens rileverebbe l'inidoneità della relazione peritale solo nel caso in cui le conclusioni presenti nella suddetta relazione siano respinte dalla comunità degli esperti. Punto di partenza per creare dei sistemi di intelligenza artificiale, risulta essere il ricorso agli standard di prova, che darebbe vita anche a scenari alternativi in grado di riscontrare tempestivamente la sufficienza dei dati, per la risoluzione della questione. Necessario è ribadire che la macchina non potrà mai sostituire il giudice human being, in quanto quest’ultimo è dotato di equità, discrezionalità e buon senso, valori che gli consentono di impostare l'algoritmo in proporzione al singolo caso concreto, intervenendo sugli standard di valutazione e memorizzazione del sistema intelligente. Da tale analisi, nel rapporto tra mens humana e mens robotica risulta esserci la propedeuticità della prima nei confronti dell'altra. Tuttavia già da alcuni anni si sente parlare di software utilizzati in ambito legale, come ad esempio Ross Intelligence oppure Jurimetria, in grado di guidare l'avvocato nella argomentazione del caso, basandosi sull'analisi di orientamenti giurisprudenziali che riescono a eseguire in tempi brevi[20]. Sorge spontaneo un interrogativo: l'intelligenza artificiale sarebbe in grado di dare il proprio apporto nella elaborazione delle argomentazioni ? Se così fosse la macchina potrebbe risalire dal reato commesso alla fattispecie astratta sulla base degli elementi probatori che ha a disposizione[21] e, dunque, essa (e di conseguenza tutti gli ulteriori strumenti di AI) non sarebbero più solamente dei suggeritori.
7. Riflessioni conclusive.
Nonostante il forte contributo sia in termini di efficacia che di utilità dell'intelligenza artificiale, in ambiti come quello della valutazione delle capacità genitoriali, ambito molto delicato in cui l'interesse primario deve essere quello del minore, il ricorso a strumenti di intelligenza artificiale nella valutazione da parte del giudice della risultanza peritale, passaggio necessario per una futura motivazione, implicherebbe una sorta di bias cognitivo che inciderebbe negativamente sull'esito della valutazione peritale. Tale rischio deriverebbe dalla mancanza della componente psicologica nella macchina sapiens, in quanto la macchina stessa non sarebbe in grado di percepire segnali come tono della voce, mimica facciale, reazione emotiva ad una determinata affermazione o negazione e, dunque, tutte queste suggestioni emotive finirebbero per non essere riconosciute affatto dal software, a differenza di quanto invece rientra nelle possibilità del giudice human being. La macchina risulterebbe comunque priva di empatia; ricordando Alan Turing[22], per quanto possano compiersi passi in avanti nell'ambito delle tecnologie una macchina certe cose non potrà mai farle, “ non potrà mai avere iniziativa, avere senso dell’humour, distinguere il bene dal male, commettere errori, innamorarsi, gustare le fragole con la panna”. Limite maggiormente rilevante sarebbe inoltre la possibilità dei sistemi di intelligenza artificiale di esprimere solo giudizi netti ,senza nessuna sfumatura di grigio in casi in cui, invece, si ci confronta con fatti umani e sentimenti ed emozioni che non possono essere ignorati Concludendo, se da un lato l'intelligenza artificiale potrebbe evitare eventuali pregiudizi e condizionamenti che sono propri dell'essere umano, dall'altro, invece, potrebbe inficiare la decisione, essendo priva di quella parte umana, che in determinati campi del diritto non può essere tralasciata. Tuttavia, tale problematica potrebbe essere ovviata, predisponendo sistemi di IA che coadiuvino il consulente e che siano in grado di operare sulla analisi della personalità, delle relazioni familiari, delle capacità genitoriali, della vittimologia e dell’attendibilità testimoniale di adulti e minori. Il CTU dovendo analizzare il processo decisionale della macchina, si troverebbe a confrontarlo con il proprio. Il confronto obbligherebbe di fatto l’esperto a revisionare il proprio ragionamento e a domandarsi se ha approfondito tutti i punti che l’IA ha reputato importanti per la decisione presa o, al contrario, ha dato peso ad altri fattori che avrebbero dovuto essere meno determinanti. L’esperto resterebbe comunque libero di dissentire dal parere dell’IA, ma esplicitando i motivi che lo hanno condotto a prendere una decisione differente. Questo passaggio sarebbe fondamentale, perché renderebbe più trasparente non solo il processo decisionale dell’IA ma anche quello dell’esperto stesso. In definitiva, si tratterebbe di un sistema di supporto decisionale dotato di IA. In parallelo, strumenti di IA dovrebbero essere sviluppati al fine di agire ad un livello più profondo, favorendo la comprensione del cervello dei genitori e tali sviluppi potrebbero avere profonde implicazioni per le famiglie, in termini di rischio e di possibili interventi. [1] M. Minardi, Il giudice è davvero “peritus peritorum”? Come si contesta una CTU, in “Lex Formazione”, 2013 [2] L’ambiguità del termine «prova scientifica» è messo in rilievo dal Taruffo in Libero convincimento del giudice, in Enc. giur., XVIII, Roma ,1990, 4, il quale opta per concetto di prova scientifica inteso come «strumento». In questo senso appare orientato anche L.P. Camoglio in Le prove civili, 3ª ed., Assago, 2010, 72, il quale considera scientifica la prova per la cui «formazione» ( non quindi per la sua «valutazione») si richiede l’intervento di metodologie tecniche. Da questo punto di vista non potrebbe considerarsi un approccio scientifico alla prova quello dell’impiego di determinate scienze alle quali il giudice possa fare ricorso come ausilio nella valutazione delle normali prove storiche (es. impiego della psicologia nella valutazione della testimonianza). Secondo il Denti, Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir. proc. 1972, 415 ss, invece l’uso del termine «scientifico» correlato alla prova potrebbe avere un significato solo nel momento «valutativo», della prova: ove cioè il giudice faccia ricorso all’ausilio di determinate scienze per rendere più sicuro l’esercizio del libero convincimento. [3]M. Taruffo, Libero convincimento del giudice, in Enc. giur., XVIII, Roma ,1990, 4. Inoltre, l’incompatibilità della prova scientifica con le massime d’esperienza appare evidente anche nel pensiero del Denti, Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir. proc. 1972, 422, il quale precisa che l’impiego di tali massime, fondamentale come limite all’uso della scienza privata da parte del giudice, fa riferimento al «patrimonio dell’esperienza comune» e quindi alla possibilità di un controllo senza bisogno di conoscenze superiori a quelle dell’uomo medio e che per questo sfugge al controllo di chi tali conoscenze non ha. [4] L. Masera, Il giudice penale di fronte a questioni tecnicamente complesse: spunti di riflessione sul principio dello iudex peritus peritorum, in “Il Corriere del merito”, 2007, III, 352. [5] A. Melchionda, Aspetti problematici della perizia nell’istruzione formale, in “Atti del Convegno nazionale di studio – I problemi dell’istruzione formale, Bologna 9-10 giugno 1973”, 1977, 241. [6] S. Nista, Consulenza tecnica d’ufficio: il giudice può discostarsi con effettiva motivazione, in Masterlex, 2017. [7] M. Minardi, Il giudice è davvero “peritus peritorum”? Come si contesta una CTU, in Lex Formazione, 2013. [8] G. Carlizzi, Iudex peritus peritorum, in Dir. Pen. Cont., II, 2017 e ivi la bibliografia, al quale si rinvia per un’attenta analisi del ruolo superperitale del giudice e dei possibili, diversi modi di comprenderlo; vedi anche, dello stesso, Libero convincimento e ragionevole dubbio nel processo penale. Storia prassi teoria, Bologna, 2018, 30 ss.; R. Blaiotta-G. Carlizzi, Libero convincimento, ragionevole dubbio e prova scientifica, in G. Canzio-L. Luparia, Prova scientifica e processo penale, 367 ss. Sottolinea l’importanza del contraddittorio sulla scienza, poiché «la ricostruzione scientifica più plausibile è quella che “resiste all’urto del contraddittorio tra gli esperti”», anche C. Conti, Iudex peritus peritorum e ruolo degli esperti, in Dir. pen. proc., 2008, 30 ss., che sottolinea che, se la valutazione è «il tallone d’Achille della prova scientifica», il rimedio «consiste nel valorizzare al massimo il contraddittorio con i consulenti tecnici». [9] Viene per la prima volta attribuita questa funzione al giudice nella nota sentenza Daubert v. Merrell Dow Pharmaceuticals. Si ritiene che la sentenza Daubert abbia rappresentato inizialmente una modesta rivoluzione politica, ma che col tempo si sia trasformata in una rivoluzione scientifica e che quindi debba essere conosciuta «for the intellectual transformation it imposed on the law» D. Faigman, The Daubert Revolution and the Birth of Modernity: Managing Scientific Evidence in the Age of Science, in University of California Law Rev., 2013, 46, 895 ss. [10] «Come ben noto, il giudice può essere fruitore, o se si vuole utilizzatore, di regole scientifiche, ma, fatta eccezione per le conoscenze facenti parte del notorio, non può porre egli la regola, che assume essere scientifica, magari credendo di apprestarle autorevolezza citando lo studioso al quale si attribuisce la scoperta o l’affinamento della tecnica conoscitiva», Cass., 21.4.2016, n. 19176, in Dejure; in dottrina, per un’indagine già negli anni ’70 sul ruolo del giudice per accertamenti causali scientificamente affidabili, v. F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale, Milano, 1975. [11] S. Arcieri, Il giudice e la scienza. L’esempio degli Stati Uniti: il Reference Manual on Scientific Evidence, in Dir. pen. cont., 2017. [12] Cass., 26.2.2014, n. 39220, in Dejure. [13] Cass., 14.3.2017, n. 12175, in Dejure. [14] Cass., 7.9.2015, n. 36080, in Dejure. [15] Per imaging celebrale si intende una tecnica di visualizzazione del ramo celebre encefalicospinale che opera attraverso l'analisi computerizzata del tracciato EEG, che realizza una mappatura selettiva dell’attività elettrica presente in determinate aree mediante l’utilizzo congiunto della topografia assiale computerizzata (TAC), della risonanza magnetica funzionale (FMRI), della topografia ad emissioni di positroni (PET), della magnetoencefalografia (MEG) e della topografia computerizzate ed emissionale di fotoni singoli (SPECT). [16]E. Nagni, Artificial intelligence, l’innovativo rapporto di (in)compatibilità fra machina sapiens e processo penale, in Sistema Penale, 2021, VII, 41: “ In tema di accertamento di un fatto di omicidio, i giudici, infatti, ritennero di rivolgersi alla comunità scientifica – da cui, il principio di Frye – per constatare il grado di utilità della misurazione della pressione arteriosa dell’imputato, sistolica e diastolica, allo scopo di indagarne la veridicità delle dichiarazioni. Terminato con l’inamissibilità della prova, in ragione del difetto di consenso reso dalla comunità, il caso è stato poi ripreso dal procedimento “Daubert vs. Merrel Dow Pharmaceuticals” (1993)”. [17] J. Nieva-Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, Torino, 2019: “ 1. ‘attendibilità’, che richiede che la ricerca svolta da un diverso soggetto con le medesime metodologie e nei confronti delle stesse persone, possa produrre risultati analoghi; 2. ‘validità’, in base alla quale i risultati devono riflettere l’esatto stato delle cose; 3. ‘generalizzabilità’, che mira a comprendere se gli esiti riscontrati siano applicabili a casi simili; 4. ‘credibilità’, sulla cui scorta, si vuole comprendere l’affidabilità della procedura e dei risultati; 5. ‘falsificabilità’, che impone il test della scientificità dei risultati; 6. ‘blind per review’, che richiede la sottoposizione ad una revisione di ordine critico; 7. ‘accettabilità’, da intendere come condivisibilità da parte della letteratura scientifica; 8. ‘controllo metodologico’, che richiede se è possibile conoscere il potenziale di errore; 9. ‘affidabilità’, che mira a comprendere se la misura sia stabile anche in diversi contesti temporali; 10. ‘validità’, che indica l’‘accuracy’ dello strumento, corrispondente al grado di esecuzione della misurazione; 11. ‘validità incrementale’, che valuta l’aumento di affidabilità dell’analisi a seguito dell’ingresso di nuovi elementi informativi rispetto a quelli già noti e considerati su base tradizionale; 12. ‘sensitività’, che mira a riconoscere l’incidenza dei falsi positivi; 13. ‘specificità’, che si orienta sulla conoscibilità dei falsi negativi.” A riguardo v. L.R. fournier, The Daubert Guidelines: usefulness, utilization, and suggestions for improving quality control, in 5 Journal of Applied Research in Memory and Cognition, 2016, 308 ss. [18] In argomento, cfr. v. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, Milano, 2011; D. Gonzalez Lagier, Prueba y argomentaciòn. ¿Es posible formular un estàndar de prueba preciso y obietivo? Algundas dudas desde un efoque argumentativo de la prueba, 2018; F. Auletta, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico , Padova, 2002. [19] P. Moro, Intelligenza artificiale e professioni legali. La questione del metodo, in Journal of Ethics and Legal Technologies, Padova University Press, 2019, V, 24 ss.; C. Castelli, D. Piana, Giusto processo e intelligenza artificiale, Santarcangelo di Romagna, 2019; J. Nieva-Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, op. cit.; G. Tamburrini, Etica delle macchine. Dilemmi morali, Roma, 2020; R. Trezza, Diritto e intelligenza artificiale, Etica, Privacy, Responsabilità, Decisione, Pisa, 2020. [20] J.O. Mcginnis, R.G. Pearce, The Great Disruption: How Machine Intelligence Will Transform the Role of Lawyers in the Delivery of Legal Services, in 82 Fordham L. Rev., 2014; M. Chin, An Al just beat top lawyers at their own game, in Mashable, 2018. Consultabile al sito: https://mashable.com/2018/02/26/ai-beats-humans-at-contracts/?europe=true; per un approccio dottrinale tanto autorevole quanto consolidato, si consiglia v. Zagrebelsky, Dalla varietà della giurisprudenza all’unità della giurisprudenza, in Cass. pen., 1988, 1576 ss. [21] Le modalità di funzionamento del sistema tecnologico non apparirebbero del tutto semplici, atteso che il giudice accerta la sussistenza del fatto di reato anche valutandone il contesto sociale e le circostanze spaziotemporali in cui sarebbe stato perpetrato. Tali valutazioni, tuttavia, sarebbero escluse dalla valutazione algoritmica e dal suo contributo in sede decisoria, ad eccezione dei casi in cui il software limiti la sua operatività nella stima, in modo meccanico, di variabili che ridurrebbero l’analisi giuridica ad un ragionamento meramente matematico. |