PAROLE CHIAVE: Direttiva ELD - Veil Piercing Lo scopo che questo lavoro si prefigge è di valutare il regime di responsabilità per danno ambientale, previsto dalla Direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 (da ora Direttiva ELD), dal duplice profilo dell’individuazione dei soggetti (operatori, come parla la Direttiva) che cagionano il danno e del regime di responsabilità applicabile. La Direttiva ELD, a 17 anni dalla sua entrata in vigore, è una normativa scarsamente applicata dagli Stati Membri. Ai sensi dell’art. 2, par. 6 della suddetta Direttiva, per “operatore” deve intendersi: «qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra o notifica l’attività medesima»[1]. Dalla lettura del paragrafo 6, il primo problema che si pone è stabilire, in caso di holding, se la responsabilità per danno ambientale ricada sull’impresa che effettivamente ha compiuto il danno oppure se ne risponda l’impresa “madre”, in quanto la norma ricomprende entrambe le ipotesi. Una società di capitali sottoposta a regime di responsabilità limitata, in caso di holding, potrebbe scorporare le attività pericolose dalle imprese “madri”, generando così nuove società a bassa capitalizzazione ed aumentando il rischio di insolvenza in caso di risarcimento per danno ambientale. La soluzione per arginare il rischio di insolvenza, prospettata dalla direttiva stessa[2], è incoraggiare gli Stati Membri a sviluppare strumenti di garanzia finanziaria, tali da permettere la risarcibilità in caso di danno ambientale. In teoria, il requisito minimo di capitale[3] potrebbe garantire che sia sempre presente una somma di denaro, che rappresenti una parte di capitale, per soddisfare le richieste dei creditori, compresi quelli involontari, come le vittime di illeciti ambientali. Sebbene questa proposta sembri facilmente adottabile, essa presenta molti potenziali svantaggi, in quanto comporterebbe enormi costi amministrativi e significative difficoltà nell'identificare i corretti livelli di intervento. Un altro problema del requisito minimo di capitale è stabilire un quantum che ogni società deve stanziare in relazione alla natura delle sue attività. Se il quantum fosse fissato a un livello troppo alto, potrebbe funzionare come una barriera all'entrata nel mercato di riferimento, limitando le possibilità di ingresso in questo settore per le piccole e medie imprese. Un ulteriore problema riguarda l’impossibilità di fissare il limite massimo e minimo di capitale per ogni società, poiché il tipo di rischio può variare da impresa ad impresa. Nel caso ideale un’autorità amministrativa dovrebbe determinare l’ammontare potenziale delle passività e determinare il capitale minimo di conseguenza. Ma farlo per ogni singola impresa porterebbe, naturalmente, ad enormi costi amministrativi e a previsioni non sempre adeguate sotto il profilo del quantum. Last but not least, sorge il dubbio: un requisito generale di capitale minimo garantirebbe la disponibilità di fondi per la riparazione del danno ambientale? Il capitale minimo, non è la miglior soluzione al problema, per due ordini di ragioni: - il danno ambientale non è spesso facilmente quantificabile e risarcibile; gli effetti dannosi che esso genera, non sempre sono immediatamente tangibili, come nel caso dell’inquinamento del sottosuolo; - fissare un capitale minimo, come dimostra la casistica giurisprudenziale[4], non risolverebbe il rischio di insolvenza, poiché le cifre richieste a titolo di risarcimento spesso sono altissime. La responsabilità illimitata “pro quota” degli azionisti, risalente al 1991[5], è un’ipotesi di strumento di garanzia finanziaria e rappresenta un caso di “veil piercing”, di cui si discuterà più avanti, cioè un caso in cui si estende la responsabilità agli azionisti, limitatamente alla loro quota di partecipazione societaria, evitando gli ostacoli della responsabilità limitata per gli illeciti societari. La Supreme Court inglese, in determinati casi, ha consentito il c.d. Piercing the Corporate Veil (“sollevamento del velo aziendale”), ovvero il venire meno della separazione patrimoniale tra la personalità giuridica di una società e i suoi membri. Infatti, in decisioni come Ben Hashem v Al Shayif & Anor[6] del 2008 e Perst v Petrodel Resources Ltd del 2013, la Supreme Court ha riconosciuto la possibilità di concedere il Piercing, affermando: «[...]c’è solo un potere limitato per perforare il velo aziendale, vale a dire quando le persone sono soggette a un obbligo legale esistente e lo eludono deliberatamente. La frode taglia tutto. Un velo potrebbe essere perforato solo allo scopo di privare la società o il suo controllore del vantaggio che altrimenti otterrebbero dalla personalità giuridica separata della società»[7]. Non essendo, però, prevista alcuna riforma del diritto societario atta a prevedere la responsabilità illimitata pro quota degli azionisti e dato che i creditori involontari, come le vittime di illecito ambientale, sono politicamente deboli rispetto al potere delle imprese, la responsabilità limitata è sopravvissuta. Introdurre il sistema di responsabilità illimitata pro quota degli azionisti non garantirebbe una completa tutela del creditore della società, perché comunque si potrebbero cedere le azioni ai c.d.“higl rollers”, soggetti disposti ad acquistare le attività rischiose delle società e a rimuovere l'esposizione al rischio di illecito dalla società originaria, trasferendo la sede al di fuori dell’UE. Il momento di instaurazione del contenzioso è un’altra ragione ostativa, perché le vittime di illeciti ambientali dovrebbero citare in giudizio, come litisconsorti necessari, tutti gli azionisti, generando alti costi e un’ insormontabile lungaggine del processo. È per queste ragioni che, sebbene la proposta di Hansmann e Kraakman sia stata discussa da molti, non è stata introdotta a livello politico, anche se è da ricordare a tal proposito una citazione di Kelsen[8], secondo cui: « come la persona fisica non è un uomo, così la persona giuridica non è un superuomo. Gli obblighi e i diritti di una persona giuridica debbono risolversi in obblighi e diritti dell’uomo cioè comportamenti umani regolati da norme, in comportamenti che le norme statuiscono come obblighi e diritti». Lo strumento del veil piercing, non riguarda solo la responsabilità illimitata pro quota, ma è applicabile anche al rapporto tra impresa “madre” e filiali. Nei sistemi di common law, il corporate veil piercing si applica nei casi di frode, capitalizzazione insufficiente, mancata osservanza delle formalità societarie e abuso dell’entità societaria che si traduce in una completa predominanza dell’azionista o degli azionisti. Infatti, questa dottrina viene fatta risalire alla più generale regola della responsabilità d’impresa, secondo due diverse direttrici: - responsabilità d’impresa come responsabilità solidale di tutte le piccole imprese, facenti parti di un gruppo societario, per il debito di una di esse[9]; - responsabilità d’impresa, nell’ambito della tort law, come strumento per introdurre la responsabilità oggettiva, per i danni causati dalle società. La soglia per il piercing the veil, in termini di gravità della condotta, non ha ricevuto un trattamento uniforme, ma all’interno di tutte le giurisdizioni di common law la dottrina rappresenta l’eccezione piuttosto che la regola. L’unico minimo comun denominatore è «la regola del giudice Sarborn»[10], secondo cui la corporation sarà considerata in linea di principio come una distinta entità legale, fino a quando non vi sia sufficiente ragione di ritenere il contrario. Ma quando la nozione di persona giuridica sia usata per sopraffare gli interessi pubblici, per dare giustificazione ad un illecito, per perpetrare una frode o coprire un delitto, allora il diritto considererà la corporation alla stregua di una associazione di persone. Questo procedere casistico è dovuto al fatto che le corti di common law non applicano un istituto giuridico o un principio generale alle fattispecie in esame, ma al contrario, muovono dall’analisi del caso concreto, per realizzare di volta in volta esigenze di giustizia sostanziale, non riferendosi ad una tassonomia generale tipica di una norma generale e astratta. In Europa, lo Stato che maggiormente ha fatto tesoro dell’insegnamento di common law, è stata la Germania. Nel sistema civilistico tedesco, il rapporto tra capogruppo e imprese “dominate” è previsto, dai §§ 291 ss. della legge sulle società per azioni (Aktiengesetz), sotto forma di contratto di dominazione (Beherrschungsvertrag) che comporta “l’alienazione del governo della società” dipendente[11] a favore della capogruppo. In virtù di tale negozio la capogruppo acquisisce il diritto di impartire alle eterodirette delle direttive gestionali vincolanti. Per effetto di questo contratto, quindi, l’organo amministrativo della società dominata rinuncia alla propria indipendenza e il potere gestorio viene accentrato in capo alla dominante. Alla luce di questa forma contrattuale, la società dominante è tenuta a garantire la conservazione del patrimonio della dominata: essa ha infatti l’obbligo di ripianare eventuali perdite di esercizio della società dominata (§ 302 AktG). In questo modo i creditori della società dipendente, come le vittime del danno ambientale, vengono tutelati; infatti essi hanno la garanzia che la società dominata, almeno fino a quando sia solvibile la dominante, disponga dei mezzi per soddisfare le proprie obbligazioni. Nel sistema civilistico tedesco, in forza di un contratto di dominazione, l’impresa dominante e quella dominata formano “un’unica unità di rischio”[12]. Anche la Norvegia riconosce il veil piercing societario, codificandolo nei Companies Act Section (17-1)[13] e parlando di “quasi-piercing”[14], quale strumento che comprende sia la responsabilità basata sulla colpa che la responsabilità basata sullo statuto della società madre. Con la decisione inerente al famoso caso Hempel[15], la Corte Suprema norvegese ha dimostrato che la tutela di importanti interessi sociali (diritto alla salute, tutela dell’ambiente, etc) possono costituire la base per applicare il veil piercing, attribuendo la responsabilità per danno ambientale all’impresa “madre”. È forse questa la soluzione per evitare il rischio di insolvenza e per ammettere la responsabilità della controllante per le attività della controllata? «La capacità giuridica fu ideata per coincidere col concetto dell’uomo singolo. Noi ora la consideriamo come estesa a soggetti artificiali, creati per semplice finzione: le persone giuridiche»[16]. In conclusione, il principio generale della responsabilità delle imprese per danno ambientale, il principio chi inquina paga[17] unitamente al sopracitato art. 2, par. 6 della Direttiva ELD, non hanno, da soli, la forza di perseguire concretamente la responsabilità degli operatori. Il veil piercing ed il quasi-piercing sembrano essere gli strumenti di garanzia finanziaria più idonei per sottoporre a controllo giudiziale l’attività delle imprese che operano a contatto con l’ambiente. Solo in questo modo si può bilanciare, quanto più possibile, il rapporto tra impresa e attività di rischio svolta, da una parte, e tutela dell’ambiente e dell’individuo, dall’altra. Alla luce di una prossima riforma della Direttiva ELD, sarebbe utile prevedere questo strumento, per rendere omogenea la tutela della salute e dell’ambiente in ogni Stato Membro dell’UE.
Source:
Link: http://www.europarl.europa.eu/supporting-analyses http://www.researchgate.net/publication/228183593 https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:143:0056:0075:it:PDF (direttiva ELD) http://www.law.harvard.edu/programs/olin_center/papers/pdf/Kraakman_643.pdf https://www.jstor.org/stable/796812?seq=1
[1]Dir. 2004/35 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21.04.2004 (reperibile al link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32004L0035&from=BG ) [2] Art. 14, 1° par., dir. 2004/35 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21.04.2004 [3] J.Armour, H. Hansmann, R. Kraakman, The essential elements of corporate law: what is corporate law?, in Harvard Law School Cambridge, MA, 2009, 643 [4] La richiesta di risarcimento del 2010 del Comune di Taranto, per i danni causati dall’ILVA, di una somma superiore ai 3 miliardi di euro (comprensivi di costi di risanamento, danno non economico e danno a beni mobili e immobili). [5] H. Hansmann & R. Kraakman, Toward Unlimited Shareholder Liability for Corporate Torts, vol. 100, n. 7, The Yale L.J., 1991, ( reperibile al link: https://digitalcommons.law.yale.edu/ylj/vol100/iss7/1) sostengono che sia possibile attuare un veil piercing estendendo la dottrina tradizionale della responsabilità per illecito civile fino a ricomprendere una responsabilità riguardante il patrimonio dell’azionista. [6] Ben Hashem V Ali Shayif And Others, 2008, EWHC 2380 (FAM) [7] Prest v Petrodel Resources Ltd, 2013, UKSC 34, Lord Sumption : «No court in this land will allow a person to keep an advantage which he has obtained by fraud. No judgment of a court, no order of a Minister, can be allowed to stand if it has been obtained by fraud. Fraud unravels everything. The court is careful not to find fraud unless it is distinctly pleaded and proved; but once it is proved, it vitiates judgments, contracts and all transactions whatsoever[…]» [8] Kelsen, Linenamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000, pag. 89 [9] S.M. Bainbridge M.T. Henderson, Limited liability: A legal and Economic Analysis, Edward Elgar Publishing, UK, 2016 [10] Verrucoli, Il superamento della personalità giuridica, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1964, pag. 120 [11] L’espressione è di Spada, L’alienazione del governo della società per azioni, in AA. VV., I Gruppi di società. Atti del convegno internazionale di studi, Venezia 16-17-18 novembre 1995, vol. III, Milano, 1996, 2179 ss. [12] Lutter – Zollner, Diritto delle imprese collegate in Germania, in AA. VV., I Gruppi di società. Atti del convegno internazionale di studi, Venezia 16-17-18 novembre 1995, vol. III, Milano, 1996, 254 [13] Si tratta delle Private Limited Liability Companies Act of 13 June 1997 No. 46 and the Public Limited Liability Companies Act of 13 June 1997 No. 45 (disponibile in norvegese su www.lovdata.no e a pagamento, in traduzione inglese su http://www.revisorforeningen.no/?did=9439949) [14] M.H. Andenæs Aksjeselskaper og allmennaksjeselskaper [Private and public limited liability companies], 2006, p. 39, M. Aarbakke et al., Aksjeloven og allmennaksjeloven: Kommentarutgave [Commentary to the Norwegian Private Limited Liability Companies Act and the Public Limited Liability Companies Act], Oslo, Universitetsforlaget, 2nd ed.,2004, pp. 39-40. [15] Il caso di specie riguarda la responsabilità per l'inquinamento del terreno dopo decenni di produzione di vernice per navi e plastica e il relativo smaltimento dei rifiuti. Nel 1983 Monopol Maling og Lakk si è fusa con la società danese Hempel AS (società madre), prendendo il nome di Hempel Coatings (Norvegia) AS14. Negli anni la suddetta società aveva effettuato altre fusioni, trasformandosi in società immobiliare e quando nel 2003 l'Agenzia per il Clima e l'Inquinamento, emanò un avviso di ingiunzione per svolgere nuove indagini inerenti ai siti inquinati, la società Hempel citò in giudizio, dinanzi alla Suprema Corte, lo Stato norvegese per danni. [16] De Marini A., Diritto romano e diritto privato. Letture da F.K. Von Savigny, Torino, 1995 [17] «La presente direttiva istituisce un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio “chi inquina paga”, per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale» Art. 1, dir. 2004/35 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21.04.2004 To read the PDF click here. |